Kathmandu, giorno 1 – Ho pubblicato per voi questo post mentre ero in aeroporto in viaggio verso il Nepal. Non sapevo ancora cosa avrei trovato ad attendermi, dall’altra parte del mondo. E’ stata una notte frastornata, quella in volo, tra sospiri e pensieri affidati alle nuvole. Appena arrivata a Kathmandu l’imprinting dall’aereo è stato molto forte: una città in rinascita dopo la furia del devastante terremoto che l’ha travolta un anno fa. Sensazioni ed immagini forti, di quelle che a me servono per tirare fuori tutta la carica necessaria per gli scatti. A volte mi chiedete “come fai a trovare sempre scorci e spunti per i tuoi racconti, durante i viaggi? Non è difficile?”. La risposta risiede a monte: mi preparo. Prima di partire cerco di studiare e poi, una volta sul posto, aspetto fino al momento in cui non sento di poter riuscire a “comunicare” con le mie emozioni. Fino a quel momento non scatto. Ho bisogno di sentire il cuore vibrare prima di scattare. Quella panoramica dall’alto, tra rovine e rinascita, di Kathmandu all’alba, era proprio ciò di cui avevo bisogno per entrare subito in contatto con il luogo, per sentirne l’energia. Una volta a terra, cielo plumbeo e una luce stranissima, avvolgente, dorata, quasi a voler contrastare il peso del cielo minaccioso. Nell’aria odore di incenso che brucia. Accolta con una ghirlanda di fiori di tagetes amaranto, porgo il capo e mi accolgono con quella parola a me tanto cara: “Namaste”. Poco dopo, mentre guardavo quel cielo di piombo assorta tra i pensieri, mi è stato detto, con voce serena e limpida quasi come una carezza: “bisogna soffiare, solo così possiamo mandare via le nuvole e far tornare il sereno.”
Mi piace questa spiritualità. Mi piacciono queste porte che si affacciano sull’anima, mi piace guardarci dentro, stupirmi, lasciarmi stupire dalle cose di me che ancora non so. Mi piace addormentarmi dall’altra parte del pianeta sotto un cielo non abituale ma non per questo diverso. Cambiano le prospettive, non le cose.
Katmandu, giorno 2 – Ieri sera ho scoperto una cosa bizzarra: qui in Nepal è l’anno 2072, dunque vi sto scrivendo dal futuro e voi mi leggete dal passato! Sorrido ogni volta che ci penso. Stamattina sveglia all’alba, dopo aver dormito solo un paio d’ore, apro le tende mentre mi stropiccio gli occhi e lo spettacolo che mi si presenta è degno della levataccia: dall’ultimo piano dell’hotel si vede tutta la città e alte montagne decorano l’orizzonte. Siamo a 1300 metri ma non nevica mai, qui nel 2072 succedono cose che voi umani…
La prima cosa che mi ha colpito di questa città è il disordinato caos che regna sovrano: ammassi di cavi elettrici, auto-biciclette-moto-carrettini che sfrecciano dimenticando il codice della strada, grandi finestroni – talvolta asimmetrici – sulle facciate dei palazzi, gente affaccendata ad ogni angolo delle strade, bambini che giocano con pochi e semplici oggetti e tanta fantasia. E’ bello. E’ bello quando il cuore si fa piccolo per lasciare spazio a tutte le cose nuove che si possono imparare in una giornata, è bello quando poi si fa grande perché gonfio d’amore per tutti gli sguardi incrociati, i sorridi scambiati, i “namaste” ricevuti e dati.